Parchi giochi di plastica, genitori apprensivi, schermi ovunque. Così bambini e ragazzi hanno smesso di giocare all’aperto. Ma in mezzo al “verde” crescono più sani e intelligenti.
Mai ascoltato in silenzio i suoni di un bosco? Mai camminato a piedi nudi sull’erba di un parco cittadino?
«La natura è spesso nascosta, qualche volta sopraffatta, molto raramente estinta», diceva l’inglese Francis Bacon. Erano gli inizi del Seicento, la rivoluzione industriale, le fabbriche e il cemento in cui siamo immersi oggi erano, semplicemente, inimmaginabili. Eppure già allora il filosofo empirista, strenuo sostenitore della rivoluzione scientifica, elogiava i poteri nascosti della natura, ai quali l’uomo può solo inchinarsi.
“Nature deficit disorder”, disturbo da carenza di natura, è invece il termine coniato qualche anno fa dallo scrittore americano Richard Louv (autore di L’ultimo bambino nei boschi, pubblicato in Italia da Rizzoli, e del più recente The Nature Principle): non è il nome di una malattia, ma di un rapporto mancato, quello fra l’uomo e l’ambiente.
Carenza che colpisce soprattutto bambini e ragazzi, gli esseri umani più malleabili e vulnerabili. «Nel momento in cui il legame tra i ragazzi e il mondo naturale sembra spezzarsi», sostiene Louv, «un numero crescente di ricerche collega direttamente e in maniera positiva il nostro stato di salute mentale, fisico e spirituale al rapporto con la natura.
Diversi studi indicano che il disturbo da deficit di attenzione e altre alterazioni quali, per esempio, l’obesità, la disattenzione, la svogliatezza, la noia, la depressione, l’ansia, possono essere infatti efficacemente trattate favorendo il rapporto tra i giovani e la natura. I bambini non hanno bisogno solo di una corretta alimentazione e di un buon sonno, ma anche del contatto con il verde».
I benefici sono stati confermati da svariate ricerche scientifiche: i bambini che vivono a contatto con la natura (o semplicemente la vedono dalle finestre della classe) hanno migliori risultati nei test di concentrazione e autocontrollo, quelli che giocano regolarmente all’aperto hanno migliori capacità motorie, di coordinazione, agilità, equilibrio.
In generale, rispetto ai coetanei che restano chiusi in casa, magari davanti a Tv e computer, hanno maggiori capacità di osservazione, ragionamento e consapevolezza, sono meno inclini al bullismo e meno vulnerabili a malattie e stress. E, soprattutto, sanno stupirsi. Un “senso” che i giovani dei tempi moderni sembrano, a volte, aver perso per strada.
Mondi virtuali e “sporca” realtà. Dalle origini della storia a oggi, ogni bambino, quando gliene è data l’occasione, preferisce giocare all’aperto, “sporcarsi” nella natura, che sia una foresta o un’aiuola di città. Ma il verde è sempre più limitato. Dai cortili delle scuole ai parchi giochi, alberi e arbusti sono rimpiazzati da giungle di altalene in plastica e palestre ginniche dalle forme più disparate.
L’allarme partito dall’America è arrivato anche in Europa: un dossier del National Trust britannico ha condannato il “drammatico” deficit di natura dei bambini d’Oltremanica (e indirettamente di tutti i coetanei del Vecchio Continente). Colpa del traffico, del fascino esercitato dagli schermi tv ma anche dall’ansia di genitori che imprigionano i figli tra le quattro mura di casa.
«Dobbiamo cambiare il modo in cui i bambini crescono e vedono il mondo», avverte Stephen Moss, naturalista e autore del Natural Childhood report. «Il mondo naturale non ha un “libretto d’istruzioni”, proprio per questo insegna ai bambini a usare l’immaginazione creativa». La sua ricerca, peraltro, conferma che i bambini sono molto più felici quando “hanno cose da fare fuori” rispetto a quando ricevono un gadget tecnologico, anche il più costoso. Storia non nuova, ma in parte dimenticata.
È passato oltre un secolo da quando Maria Montessori scandalizzò i pedagogisti dell’epoca mettendo al centro dei suoi scritti sull’educazione il bambino e le sue esigenze, anche o soprattutto nella natura. Vale la pena leggere il libro In giardino e nell’orto con Maria Montessori (FeFè editore) ma anche La pedagogia della lumaca di Gianfranco Zavalloni, dirigente scolastico di Cesena e per 16 anni maestro di scuola materna, che nel suo sito (www.scuolacreativa.it/pedagogia_lumaca. html) racconta: «L’altro giorno, una maestra che conosco ha portato i ragazzi della propria classe nel prato davanti a scuola. Era una giornata nuvolosa e di vento. Li ha fatti sdraiare per terra e ha fatto guardare le nuvole nel cielo, immaginandone forme, movimenti. Era scuola quella? Sì era scuola, una scuola eccezionale di poesia».
tratto da Sette Magazine