Alcuni ricercatori della “Emory University” di Atlanta hanno spiegato la propensione all’altruismo grazie ai risultati dei loro studi sull’attività neuronale. Con l’altruismo si attivano le stesse aree cerebrali che sono sollecitate da cibi preferiti e da sostanze stupefacenti quali ad esempio la cocaina.
Interessanti sono anche quelle teorie che evidenziano la stretta relazione fra buon umore ed atteggiamento altruistico. La teoria dell’effetto priming afferma che l’umore positivo aumenta l’accessibilità ai contenuti di pensiero positivi e l’altruismo serve a prolungare un piacevole stato d’animo positivo. Dal momento che il buonumore fa percepire l’ambiente senza pericoli, il comportamento altruistico viene favorito da questa elaborazione (Schwartz). Il pensiero positivo inoltre aumenta la propria autoconsapevolezza ed autostima favorendo un atteggiamento di disponibilità verso l’altro piuttosto che di ostilità.
In estrema sintesi, il pensiero positivo favorisce l’altruismo e tale atteggiamento verso l’altro e verso la vita contribuiscono a farci sentire in armonia con la realtà circostante.
Altri studiosi (Boyd e Richerson) in seguito alle loro ricerche sono giunti alla conclusione che nella competizione tra gruppi, quelli che hanno sviluppato forme di altruismo hanno strutture più coese e quindi, nell’evoluzione dei sistemi sociali, tendono a prevalere. Dunque ha più probabilità di sopravvivenza il gruppo composto da elementi fra loro amalgamati da spirito solidale piuttosto che quei gruppi in cui ciascuno privilegia l’esigenza di prevalere sull’altro al posto della collaborazione.
Un recente studio condotto da Wilson e Sober, partendo dalla teoria che l’altruismo ha carattere genetico, giunge alla tesi che in una popolazione mista con alcuni membri altruisti e altri non altruisti potrebbe iniziare una competizione per la sopravvivenza che porterebbe al successo i membri altruisti avendo questi una maggior predisposizione ad aggregarsi l’uno con l’altro rispetto ai non altruisti i quali rimarrebbero isolati e quindi soccomberebbero.
Alcuni antropologi sostengono che l’homo sapiens sia divenuta la specie dominante rispetto al Neanderthal, che ai primordi dell’evoluzione della nostra specie aveva un genoma molto simile, se non uguale, viveva nello stesso ambiente e doveva dunque affrontare gli stessi problemi, proprio grazie alla sua maggior predisposizione all’atteggiamento altruistico.
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